Potenziale trattamento dell’anemia in arrivo per i pazienti con malattia renale cronica
Nuovi agenti della famiglia degli Inibitori del "Fattore Inducibile dall’Ipossia" in corso di approvazione negli USA

L’Eritropoietina umana ricombinante (rHuEPO) è stata approvata come farmaco per il trattamento dell’anemia in pazienti affetti da malattie renali, ematologiche, o in chemioterapia, nel 1989 dalla US Food and Drug Administration (FDA). Numerosi studi, e l’esperienza clinica, hanno dimostrato in questi anni che il trattamento dell’anemia uremica con eritropoietina aumenta i livelli di emoglobina, riduce la necessità di trasfusioni, e migliora la qualità della vita del paziente.
Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che il raggiungimento di elevati target di ematocrito (> 35% o normo correzione stato anemico) si associa a più elevati tassi di trombosi venosa (e dell’accesso vascolare), di eventi cerebrovascolari, e di eventi cardiovascolari, nonché a precoce necessità dialitica e altro.
In attesa di chiarire se sia la posologia stessa di EPO somministrata (effetto dose-dipendente) piuttosto che il raggiungimento di più elevati livelli emoglobinici (aumento della viscosità ematica) a determinare questi eventi avversi (forse “l’uovo o la gallina?” ndr), gli scienziati sono alla ricerca del “santo Graal” dell’anemia: un farmaco capace di aumentare i livelli di emoglobina circolante evitando tutti gli effetti collaterali delle terapie attuali.
Ci sono due principali cause alla base dello sviluppo dell’anemia in corso di malattia renale cronica:
- Carenza di eritropoietina
- Carenza di ferro funzionale.
Una classe di farmaci attualmente in fase di sviluppo regola il Fattore Ipossia-Inducibile (HIF) inibendo l’Enzima Prolil-Idrossilasi (PH).
Nello stato di normalità l'attività di HIF-PH porta alla rapida degradazione di HIF. Durante l'ipossia, l’attività HIF-PH viene al contrario soppressa, e questo determina:
- Stimolazione della produzione endogena EPO,
- Aumento dell’espressione del recettore della transferrina,
- Assorbimento del ferro da parte dei pro eritrociti,
- Maturazione degli eritrociti (= aumento di emoglobina).
L'uso di questi agenti, somministrabili semplicemente per via orale, si traduce in un costante aumento dei livelli di emoglobina dose-dipendente, anche riducendo i livelli di epcidina e ferritina e migliorando la capacità ferro legante (o "saturazione della transferrina", vale a dire la quantità di ferro che essa può legare).
Un ragionevole timore, per quanto concerne l'utilizzo a lungo termine di questi farmaci, è il loro potenziale effetto pro cancerogeno.
La prima promettente molecola, nella famiglia degli inibitori di HIF-PH è stato FG-2216 (di FibroGen) che, in studi di fase 2a eseguiti nel 2005, è stato efficacemente testato in volontari sani e pazienti emodializzati dimostrandosi in grado di correggere l’anemia anche nei pazienti in dialisi, sia pur in modo meno significativo nei pazienti anefrici, implicando che FG-2216 induceva rilascio di EPO nei reni non funzionanti.
Ci sono quattro molecole attualmente sottoposte a studi clinici (fase 2 e 3*) negli Stati Uniti, anche per il trattamento dell'anemia nei pazienti con insufficienza renale cronica.
- Roxadustat (FG-4592), di FibroGen, Astellas, e AstraZeneca
- Vadadustat (AKB-6548), di Akebia
- Daprodustat (GSK-1278863), di GlaxoSmithKline
- Molidustat (BAY 85-3934), di Bayer Healthcare
(*) STUDI FASE 3
Nella fase 3 l’obiettivo è confermare, su larga scala, le informazioni ottenute negli studi di fase 2 su sicurezza, efficacia e dosaggio del farmaco e valutarne il rapporto rischio/beneficio attraverso monitoraggio di manifestazione, frequenza e gravità degli effetti indesiderati.
Sono inoltre prese in considerazione possibili interazioni con altri farmaci, le condizioni di somministrazione e le condizioni fisiologiche o cliniche. Uno studio finale peculiare riguarda la qualità della vita dei pazienti con il nuovo trattamento e i costi sanitari e sociali della malattia.
Al termine dello studio di fase 3 sono raccolti tutti i dati derivati dalle valutazioni precliniche e cliniche in un dossier che viene sottoposto all’autorità competente per ottenere la registrazione e l’autorizzazione alla commercializzazione del nuovo farmaco. Le autorità competenti sono la Food and Drug Administration (FDA) per gli Stati Uniti, l’ European Medicines Agency (EMA) per l’Unione Europea e l’ Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per l’Italia.
Normalmente si ricercano almeno due trials in fase III con successo, a dimostrare l’efficacia e la sicurezza del farmaco, per ottenere l’approvazione dalle agenzie regolatrici preposte.
Da statistica si ricava che il 70%-90% dei farmaci che entrano nella sperimentazione di fase 3 sono ritenuti possibili candidati alla richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio.
Gli studi di fase 3 possono essere distinti in:
- Studi di fase 3a, studi eseguiti prima della presentazione alle autorità competenti del dossier per la autorizzazione alla immissione in commercio;
- Studi di fase 3b, studi eseguiti dalla presentazione del dossier al conseguimento dell’autorizzazione.
- Sono trial multicentrici randomizzati e controllati. Ai pazienti viene casualmente assegnato il nuovo principio attivo, il farmaco standard o il placebo; sono studi in singolo cieco o in doppio cieco;
- Sono effettuati su un grande gruppo di pazienti, 300 – ˃3000;
- Sono caratterizzati da periodo di monitoraggio che dura da 3-5 anni. La durata della somministrazione del farmaco è invece variabile a seconda degli obiettivi della sperimentazione, di media dura un paio di mesi;
- Sono i più costosi, duraturi e difficili per quanto concerne progettazione e decorso.