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L’EMA estende l’uso della metformina per il trattamento del diabete di tipo 2

Il medicinale per il trattamento del diabete di tipo 2 ora può essere utilizzato anche nei pazienti con funzionalità renale moderatamente ridotta

Foto di Alexa da Pixabay
Foto di Alexa da Pixabay
L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha concluso una revisione stabilendo che i medicinali contenenti metformina possono ora essere utilizzati in pazienti con funzionalità renale moderatamente ridotta (GFR [velocità di filtrazione glomerulare] = 30-59 ml/min) per il trattamento del diabete di tipo 2. Le informazioni sul prodotto per questi farmaci saranno aggiornate per rivedere le controindicazioni correnti e dare indicazioni sulle dosi, il monitoraggio e le precauzioni nei pazienti con funzione renale ridotta. 

Le raccomandazioni sono il risultato di una revisione da parte dell’EMA dei medicinali contenenti metformina, a seguito della constatazione che la controindicazione nei pazienti con moderata riduzione della funzione renale non fosse più giustificata dalle attuali evidenzi scientifiche.

Questo derivato biguanidico, insieme ad altri tra cui la fenformina (immessa frettolosamente in commercio nel 1977 e subito ritirata dal mercato dall’FDA), fu descritto la prima volta nel 1922 da Simonnet H. e Tanret G.. Oggi la metformina rappresenta il farmaco di prima scelta della terapia antidiabetica, cui è possibile associare praticamente ogni altro tipo di terapia (sia orale che insulinica) in assenza di controindicazioni o effetti avversi. La molecola, per le sue caratteristiche farmacologiche rappresenta più un agente anti-iperglicemico che non un farmaco ipoglicemizzante.

I vantaggi legati al suo utilizzo in terapia derivano, sicuramente, dall’effetto euglicemizzante, dal basso rischio di provocare ipoglicemie ed anche dai suoi effetti ancillari sulla pressione arteriosa, peso corporeo e controllo del profilo lipidico. Per la sua efficacia ben dimostrata, l’ottimo profilo di sicurezza e, caratteristica particolarmente importante in questo periodo di revisione della spesa pubblica, il basso costo, la metformina rappresenta la prima linea terapeutica secondo tutte le Linee Guida correnti. Inoltre, studi recenti hanno posto l’attenzione su altri potenziali effetti benefici dovuti al suo utilizzo: attività citostatica e citotossica in diversi tipi di cancro, riduzione delle complicanze micro- e macrovascolari del diabete e degli eventi cardio- e cerebrovascolari maggiori (MACCE) nei pazienti con insufficienza cardiaca.

L’uso della metformina presenta anche diversi potenziali svantaggi. Abbastanza comuni sono gli effetti collaterali gastrointestinali: nausea, disgeusia (sapore metallico), lieve riduzione dell’appetito, diarrea e crampi addominali, che generalmente scompaiono dopo i primi giorni di terapia o, se necessario, con la riduzione della dose. Il farmaco può provocare un deficit della vitamina B12, per riduzione dell’assorbimento ileale, ma raramente esso ha un significato clinico.

La metformina può aumentare il rischio di una rara ma grave complicanza, l’acidosi lattica, che si verifica quando l’acido lattico prodotto naturalmente si accumula nel sangue più velocemente di quanto possa essere rimosso. In particolare, l’uso della metformina andrebbe evitato in presenza di un aumentato rischio di acidosi lattica (sepsi, ipotensione e ipossia di varia eziologia), insufficienza renale cronica severa e situazioni che possono determinare un’insufficienza renale acuta (ad es. disidratazione e somministrazione di mezzo di contrasto), acidosi preesistente. Nelle attuali informazioni sul prodotto, pertanto, si afferma che la metformina non deve essere usata nei pazienti con funzione renale ridotta, considerati a più alto rischio di sviluppare acidosi lattica essendo la rimozione della metformina da parte dei loro reni non adeguatamente efficiente.

L’incidenza di acidosi lattica associata a metformina è stata oggetto di vari studi, risultando compresa tra 3 e 10 casi per 100.000 pazienti/anno. Un’ampia review sistematica di 347 trial randomizzati e studi di coorte prospettici (per un totale di 70.490 pazienti/anno in terapia con metformina e 55.451 nel gruppo di confronto con altre terapie antidiabetiche) ha riscontrato un’incidenza di acidosi lattica di 4.3 casi per 100.000 pazienti/anno nel gruppo-metformina e di 5.4 nel secondo gruppo, concludendo che non vi era evidenza di un rischio aumentato della metformina nei confronti di altre terapie antidiabetiche [20]. Risulta dunque chiaro, come esplicitato in una recente Consensus Conference dell’American Diabetes Association, che «malgrado i timori passati e i casi clinici pubblicati, i dati attuali indicano che il rischio generale di acidosi lattica associata a metformina è basso».

Per porre diagnosi certa di acidosi lattica associata a metformina è necessaria la contemporanea presenza dei tre seguenti criteri:
  • pH arterioso <7.35;
  • lattati plasmatici >5 mmol/l;
  • concentrazione plasmatica di metformina dosabile.
Fin dal 1995, la casa farmaceutica Merck Sarono (Lione, Francia), depositaria della licenza per la metformina, ha raccolto in un database di farmacovigilanza tutte le segnalazioni di reazioni avverse da metformina. Nel periodo compreso dal 1995 al 2010 sono state effettuate 869 segnalazioni di “acidosi lattica associata a metformina” provenienti da 32 nazioni. Tra queste segnalazioni, i criteri per il pH, la lattatemia e la concentrazione di metformina erano soddisfatti rispettivamente nel 51, 53 e 14% dei casi; solamente nel 10% dei casi erano, infine, soddisfatti tutti e tre i criteri. Questi dati suggeriscono come il ruolo della metformina nell’acidosi lattica sia stato spesso valutato in maniera metodologicamente non corretta portando ad una bassa qualità delle segnalazioni e ad una sovrastima di tale evento avverso .

Dopo aver esaminato la letteratura scientifica, dati clinici, studi epidemiologici e linee guida cliniche, l’EMA ha quindi concluso che un’ampia popolazione di pazienti con funzione renale moderatamente ridotta può beneficiare dell’uso della metformina. Per ridurre al minimo i rischi in questi pazienti sono indispensabili chiare raccomandazioni sul dosaggio e il monitoraggio prima e durante il trattamento.
La controindicazione resterà per i pazienti con funzione renale gravemente ridotta (GFR inferiore a 30 ml/min)

 
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