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SGLT2i e rene policistico: nuova frontiera o falsa partenza?

Esclusi dai grandi trial, ma al centro di nuove ricerche: ecco cosa sappiamo (e cosa ancora no) sul potenziale delle Gliflozine nell’ADPKD

Foto di jacqueline macou da Pixabay
Foto di jacqueline macou da Pixabay
L’introduzione degli SGLT2i (Inibitori del Cotrasportatore Sodio-Glucosio di Tipo 2) ha rivoluzionato il trattamento della Malattia Renale Cronica (MRC), offrendo benefici significativi sia in pazienti diabetici che non diabetici. Grazie alla loro efficacia, le Gliflozine sono ormai un pilastro fondamentale nel trattamento delle patologie renali, ma il loro impiego nella Malattia Policistica Autosomica Dominante (ADPKD) — una delle principali cause genetiche di insufficienza renale — rimane controverso.

Il motivo è semplice: i pazienti con ADPKD sono stati sistematicamente esclusi dai grandi trial clinici che hanno comprovato l'efficacia degli SGLT2i durante la fase di registrazione del farmaco.
Le linee guida KDIGO (Link) sottolineano la mancanza di evidenza, affermando che “l’uso degli SGLT2i nell’ADPKD non è attualmente raccomandato, in quanto i pazienti sono stati esclusi dagli studi clinici (fatta eccezione per la presenza concomitante di scompenso cardiaco)”, e che “la gestione del diabete nei pazienti con ADPKD dovrebbe seguire le stesse linee guida previste per altri tipi di CKD, con l’eccezione che gli SGLT2i non sono attualmente raccomandati”.

Anche se EMA e FDA hanno approvato un uso più ampio degli SGLT2i nella malattia renale cronica, la scheda tecnica, per Dapagliflozin ed Empagliflozin specifica che questi farmaci non sono indicati nei pazienti con malattia renale policistica; è importante poi sottolineare che, secondo le attuali indicazioni AIFA, questi farmaci non sono rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale in caso di policistosi.

Considerazioni specifiche per l’ADPKD: potenziali benefici e rischi teorici
Sul piano teorico, gli SGLT2i potrebbero offrire benefici anche nell’ADPKD, come:
  • Riduzione della pressione glomerulare e dell’albuminuria,
  • Induzione di chetosi lieve, che potrebbe rallentare la progressione della malattia (Link).
  • Perdita di peso, utile poiché l’obesità è un fattore di progressione (Link).
  • Potenziale riduzione nella formazione di calcoli renali.
Ma esistono anche timori specifici:
  • Aumento della vasopressina, che promuove la crescita cistica (è il target di tolvaptan, unico trattamento approvato).
  • Rischio di disidratazione o poliuria più severa.
  • Glicosuria che potrebbe stimolare fibrosi o infiammazione tramite il recettore della prorenina.
  • Aumento della massa renale e ipertrofia delle cellule tubulari e dei dotti collettori osservati in modelli animali.
Insomma, ci sono motivi per essere cauti, ma anche per guardare oltre.

Le evidenze attualmente disponibili in letteratura si limitano a dati osservazionali: due serie di casi e due case report che, nel complesso, riportano dati retrospettivi su 29 pazienti con ADPKD trattati con SGLT2i.
  • La serie più ampia ha analizzato 20 pazienti per un periodo medio di 102 ± 20 giorni, evidenziando un potenziale aumento del volume renale totale (TKV) associato alla terapia. Tuttavia, la natura retrospettiva dello studio e l’utilizzo dell’equazione ellissoidale per stimare il TKV rappresentano importanti limitazioni metodologiche.
  • In un’altra serie di casi (n=7, osservazione mediana di 20 mesi), è stato osservato un incremento significativo del TKV, accompagnato però da un miglioramento della pendenza dell’eGFR, suggerendo un possibile beneficio della combinazione tra SGLT2i e inibitori del sistema renina-angiotensina (RAS).
Fortunatamente, lo scenario è in evoluzione.

Un recente lavoro in fase di pubblicazione, “SGLT2 inhibition for patients with ADPKD – closing the evidence gap”, apparso su Nephrol Dial Transplant (8 aprile 2025, online ahead of print), offre una sintesi aggiornata sull’impiego degli SGLT2 inibitori nei pazienti affetti dalla malattia policistica. L’articolo descrive inoltre i principali studi clinici attualmente in corso o di imminente avvio in diverse aree geografiche, con l’obiettivo di rendere questi farmaci potenzialmente accessibili anche a questa popolazione. I trial in fase di svolgimento mirano a colmare le attuali lacune conoscitive, valutando in modo sistematico la sicurezza, l’efficacia e l’impatto degli SGLT2i su parametri chiave della malattia, tra cui il volume renale totale (TKV), il declino del filtrato glomerulare stimato (eGFR), la pressione arteriosa e la rigidità vascolare.
 
Studi clinici in corso: primi segnali in arrivo
Alcuni studi pilota (fase 2) sono già in corso e ci daranno informazioni preziose sulla sicurezza a breve termine:
  • EMPA-PKD (Germania): 44 pazienti seguiti per 18 mesi, con valutazione di TKV, eGFR, copeptina e pressione arteriosa.
  • NCT05510115 (USA): studio su 50 pazienti non diabetici focalizzato su sicurezza, TKV e rigidità vascolare (aPWV).
  • UMIN000046275 (Giappone): 30 pazienti già in trattamento con tolvaptan; l’attenzione è su eGFR e livelli di vasopressina.
  • NCT06435858 (Svizzera): intervento di 2 settimane volto a valutare la gestione elettrolitica.
Altri studi osservazionali sono in corso e potranno fornire dati indiretti, seppur con limitazioni legate al disegno non specificamente orientato all’ADPKD.
 
Studi di fase 3 in arrivo: la vera svolta
Due grandi trial randomizzati di fase 3 sono ormai alle porte e promettono di offrire risposte solide su efficacia e sicurezza degli SGLT2i in questa popolazione:
  • DAPA-PKD (coordinato in Francia): arruolerà circa 400 pazienti (18–75 anni), con follow-up di 24 mesi. Gli endpoint principali includono la variazione di TKV e la comparsa di eventi cardiovascolari.
  • STOP-PKD (Germania, Olanda, Spagna, Austria): includerà circa 420 pazienti (18–60 anni), seguiti per 36 mesi, con focus sul declino della funzione renale (slope dell’eGFR).
Entrambi gli studi escludono pazienti già in trattamento con tolvaptan, per evitare effetti confondenti legati alla poliuria e garantire maggiore omogeneità del campione.
I due trial sono stati disegnati in modo armonizzato per consentire una futura analisi combinata dei dati (progetto FLOZIN-PKD), che permetterà di aumentare la potenza statistica e offrire una risposta definitiva sul ruolo degli SGLT2i nell’ADPKD.

Conclusioni: in attesa di risposte definitive
Gli SGLT2i hanno rivoluzionato il trattamento della CKD, ma l’ADPKD rappresenta ancora un’area grigia. Le promesse teoriche e i segnali preliminari, seppur incoraggianti, non sono sufficienti per giustificarne un impiego diffuso. Tuttavia, gli studi clinici in corso e quelli di imminente avvio potrebbero presto cambiare le carte in tavola.
Se i dati confermeranno sicurezza ed efficacia, potremmo assistere a una nuova era per la cura della malattia policistica: con terapie più precoci, più mirate, più efficaci.

Oggi, tra cautela e attesa, è la ricerca a tracciare il sentiero. Ed è proprio l’interesse crescente verso l’impiego degli SGLT2i nell’ADPKD a rappresentare una concreta apertura verso il futuro.

La “dolce promessa” degli SGLT2-inibitori - mantenuta finora nel trattamento della nefropatia diabetica e non diabetica - potrebbe un giorno realizzarsi anche per i pazienti con ADPKD. Una promessa ancora sospesa, ma carica di potenziale. Perché ogni progresso nasce da una visione, ogni rivoluzione da una buona domanda… e ogni svolta clinica, da uno studio ben disegnato.

Ogni speranza terapeutica nasce da un’intuizione e cresce con l’evidenza. Gli SGLT2i potrebbero essere il prossimo capitolo nella storia della cura dell’ADPKD.


Dottor Emiliano Staffolani, MD, PhD

Specialista in Nefrologia ed Ipertensione Arteriosa
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