Gli inibitori di checkpoint attaccano il tumore ... ma attenzione ai reni!
Necessaria attenta sorveglianza della funzione renale anche in immunoterapia

Queste nuove immunoterapie hanno sostanzialmente aumentato la sopravvivenza globale per i nostri pazienti con un profilo complessivo di effetti collaterali migliori rispetto alla chemioterapia, tuttavia il meccanismo d'azione sottostante di questi agenti aumenta il rischio di reazioni autoimmunitarie (vedi doi: 10.3233/KCA-170017).
COME FUNZIONANO?
Il nostro sistema immunitario ha dei punti di controllo detti “braking system” ("freni"), che limitano la nostra risposta immunitaria per evitare che una reazione infiammatoria, incontrollata o spropositata, diventi paradossalmente dannosa. I tumori riescono a sfuggire all'attacco delle nostre difese manipolando questi “freni”.
L’immunoterapia disinnesca questi freni e quindi “riattiva” le difese immunitarie.
Nel Luglio 2014 il Nivolumab (emilianostaffolani.it 08/04/2016) è stato il primo inibitore di checkpoint immunitario PD-1 al mondo ad ottenere l’approvazione della Commissione Europea per il trattamento in pazienti adulti con carcinoma a cellule renali avanzato in monoterapia.
Attualmente i farmaci utilizzati in Immuno-Oncologia hanno come target:
- l'antigene dei linfociti T citotossici T (CTLA-4): Ipilimumab (Yervoy)
- la proteina di morte cellulare programmata (PD-1): Nivolumab (Opdivo) e Pembrolizumab (Keytruda)
- o il suo ligando (PD-L1): Avelumab (Bavencio), Durvalumab (Imfinzi) e Atezolizumab (Tecentriq)
I più comuni eventi avversi correlati all'immunità sono dermatiti e mucositi con secchezza delle fauci che di solito si manifestano entro due settimane dall'inizio della terapia, seguite talvolta da coliti che si verificano intorno alle 6 settimane. Tutti questi potrebbero presentarsi subito dopo la somministrazione del farmaco ma anche oltre un anno dopo la somministrazione, rendendo difficile l'identificazione della loro associazione con la immunoterapia effettuata.
In questo ambito il rischio di nefrotossicità a breve o lungo termine è raro, ma considerando che un numero sempre maggiore di pazienti accede alle nuove terapie la conseguente nefrotossicità potrebbe riscontrarsi più spesso e, pertanto, l'identificazione precoce dei pazienti a rischio ed il loro tempestivo trattamento diventa fondamentale nella gestione globale di questi importanti farmaci.
L'incidenza di Insufficienza Renale Acuta (IRA) è del 9-29% circa (inibitore di CTLA-4: 3-10 settimane dopo l'inizio, inibitori di PD-1: fino a 6-18 mesi dopo l'inizio).
Altri effetti indesiderati “nefrologici” a cui prestare attenzione quando si utilizzano gli inibitori del checkpoint immunitario possono essere:
- Iponatriemia: i recettori CTLA4 sono espressi sulla ghiandola pituitaria e l'uso di inibitori CTLA-4 causa insufficienza surrenalica secondaria
- Nefrite Interstiziale Acuta “atipica”: è la scoperta più comune sulla biopsia renale in questi pazienti.. La terapia potrebbe "risvegliare" la nostra tolleranza immunitaria a farmaci come gastroprotettori (vedi emilianostaffolani.it 29/02/2016) o antinfiammatori non steroidei (vedi emilianostaffolani 20/11/2018) aumentando le cellule T auto-reattive non specifiche che si infiltrano nel rene.
- Podocitopatie (Glomerulonefrite a lesioni minime (MCD) oppure Gloemulosclerosi focale e segmentaria (GSFS)
- Microagiopatia trombotica
- Nefrite da lupus indotto da farmaci
- e rigetto da allotrapianto.
Dottor Emiliano Staffolani, MD, PhD
Specialista in Nefrologia ed Ipertensione Arteriosa
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