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Autunno ed ipertensione arteriosa.

Temperatura e barometro: quali implicazioni per i pazienti ipertesi?

Image by Valentin from Pixabay
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La stagionalità è una delle variabili ambientali che maggiormente influenzano la pressione arteriosa!
Importanti, infatti, possono essere le ricadute cliniche per medico e paziente che devono adattare la terapia dal periodo estivo a quello invernale.

La prima descrizione delle variazioni stagionali nella misurazione della PA è stata presentata dal Dottor Rose nel 1961 in una lettera alla rivista “Nature” e posta in relazione ai cambiamenti della temperatura ambientale esterna.
Successivamente negli anni ottanta con il “Medical Research Council Treatment Trial”, che includeva più di 17.000 uomini (tra i 55 ed i 64 anni) con ipertensione lieve, è stato documentato durante la stagione invernale rispetto all’estate un aumento medio di 6–7 mmHg per la massima e di 3–4 mmHg per la PA minima.
Numerosi studi epidemiologici, fino al PAMELA pubblicato dall’italiano Sega nel 1998, hanno poi dimostrato che non solo la pressione arteriosa clinica ma anche quella monitorata a domicilio e nelle 24 ore erano più basse d’estate e più elevate in inverno con valori intermedi in primavera ed in autunno. Questo andamento stagionale, osservabile anche nelle donne, è evidenziabile sia nei soggetti normotesi che negli ipertesi, ed in maggior modo tra i soggetti anziani e/o obesi.

L’aumento della pressione sanguigna nei mesi invernali è stato inizialmente correlato con l’esposizione al freddo che provoca un aumento dell’attività simpatica. Il Three-City study (2009) è stato appunto eseguito in Francia per valutare la relazione tra ipertensione clinica e temperatura esterna ottenuta dai centri di meteorologia in più di 8.000 soggetti osservando una differenza della sistolica tra le temperature più alte (estate) e le più basse (inverno) in media di 5 mmHg.

Sebbene le modificazioni acute e croniche dei valori tensivi alle variazioni di clima possano coincidere non sempre mostrano identico andamento temporale. Ad esempio uno studio diretto dal Professor Pietro Amedeo Modesti nel 2006 ha evidenziato una differenza media di 3/2 mmHg delle pressioni monitorate nelle 24 ore nei giorni in cui la temperatura media esterna variava dal 10° (6.2 °C) al 90° (25.5 °C) percentile; ed è pure noto come la temperatura giornaliera correli soprattutto con i valori pressori diurni e come la stagione, diversamente, riesca ad influenzare maggiormente quelli notturni.
Inoltre, mentre la risposta pressoria alle variazioni climatiche può essere rapida o persistente (a breve-medio o a lungo termine, rispettivamente), non sono state riscontrate queste differenze per quanto riguarda le sole variazioni della temperatura.

E’ stato, pertanto, ipotizzato che altri fattori possano condizionare le variazioni stagionali della PA, come l’introito di sodio, l’adiposità, l’attività fisica e le eventuali modifiche terapeutiche. Ad esempio in Autunno il paziente anziano tende ad una riduzione della fisiologica quota di acqua corporea causata da una minor assunzione di liquidi. Per questo motivo è suggerito agli anziani di bere regolarmente anche quando non hanno sete e di ridurre moderatamente l’assunzione di sodio allo scemare della sudorazione. L’adattamento del volume plasmatico potrebbe essere una delle cause per spiegare il prevalente aumento della PA notturna nelle modifiche stagionali a lungo termine.

L’importanza delle variazioni stagionali della PA è oggi presa in considerazione anche negli studi clinici, ma ha soprattutto importanti ripercussioni nella pratica clinica, in particolare per l’uso dei farmaci antiipertensivi. Infatti è frequente che pazienti esposti alle elevate temperature in estate abbiano una riduzione dei valori pressori e quindi richiedano dosaggi minori o meno frequentemente il ricorso a combinazioni di farmaci. Questo è importante in particolare per l’uso dei diuretici negli anziani, per il rischio di eccessiva riduzione del volume plasmatico, per prevenire le cadute o un’insufficienza renale acuta. All’inverso, l’incremento assoluto della pressione sanguigna nei mesi invernali può contribuire a spiegare l’aumentato rischio di eventi cardiovascolari osservati durante la stagione invernale quando la terapia potrebbe essere incrementata per l’esposizione alle temperature più fredde.
Infine, i dati della letteratura suggeriscono che gli interventi atti ad una migliore protezione dal freddo (ad esempioriscaldamento delle abitazioni, minor esposizione al clima freddo) sono particolarmente efficaci negli anziani per limitare l’aumento della pressione arteriosa.

Considerando l’impatto di altri fattori metereologici sulla pressione arteriosa un ruolo importante viene altresì riconosciuto anche alla pressione atmosferica. Uno studio recente, condotto presso l’Università di Lodz (Polonia), osservando 1662 soggetti ipertesi (dai 18 ai 90 anni) ha osservato una significativa correlazione inversa tra pressione atmosferica e la pressione sanguigna nelle diverse stagioni (vedi allegato).
La maggior parte delle persone vive in locali riscaldati in inverno o condizionati in estate e questo stile di vita riduce l'influenza di molti fattori meteorologici: temperatura, umidità, velocità e direzione del vento, e la luce diretta del sole ma non modifica assolutamente l'influenza della pressione atmosferica.
L'influenza degli effetti barometrici sul corpo umano non sono percepiti in modo evidente come quelli termici ma sappiamo che attivano, riducendo la saturazione plasmatica di ossigeno, il sistema nervoso autonomo e quello endocrino direttamente. Inoltre, è noto che la diminuzione della pressione atmosferica rdetermina un aumento pressorio particolarmente in certe stagion.
Lo studio polacco non solo ha permesso di registrare nei giorni di bassa pressione (atmosferica) valori artero-tensivi mediamente più alti ma ha anche evidenziato come in quei periodi si osservi anche un aumento significativo del rischio cardiovascolare, in particolare di ictus emorragico e emorragia subaracnoidea. Si ritiene, infatti, che le variazioni della pressione atmosferica possano determinare un cambiamento di pressione all'interno della parete del vaso e facilitarne la rottura, soprattutto in un vaso aneurismatico già alterato.

Si consiglia, pertanto, di prestare maggiore attenzione al controllo domiciliare della pressione arteriosa durante questi periodi di instabilità barometrica (con alternanza di fronti di bassa ed alta pressione atmosferica) soprattutto considerando il fatto che le fluttuazioni di pressione arteriosa possono provocare un aumento del rischio di eventi cardiovascolari.

In conclusione, il controllo delle condizioni ambientali, in particolare temperatura e stagionalità, dovrebbe essere sempre considerato nella pratica e nella ricerca clinica ed i grandi studi dovrebbero tener conto di questi parametri. Nella pratica clinica giornaliera il monitoraggio della PA nelle 24 ore può fornire importanti informazioni nel controllo della efficacia e sicurezza della terapia antipertensiva, in particolare negli anziani quando si verificano modifiche “estreme” di temperatura.
Nonostante la registrazione della PA nelle 24 ore fornisca dettagliate informazioni, il monitoraggio della PA domiciliare potrebbe avere un ruolo determinante nel rilevare il comportamento stagionale della PA in una larga porzione di pazienti ipertesi. Infatti, il riconoscimento di questo fenomeno potrebbe determinare un vantaggio clinico per i pazienti attraverso una terapia antipertensiva più personalizzata, in termini di dosaggi e combinazioni, efficace e sicura.
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